liberamente ispirato a questo artwork di Paynt
basato sul singolo "Sogni" di AKAB Dark Dog
L'acchiappasogni
« Quello cos’è? » chiese Rodney, con aria sommessa e distratta.
La bottega del rigattiere era immersa in una semiouscirtà polverosa. Lame di luce tagliavano di netto la stanza, filtrando da imposte tarlate e malconce, per dare a ogni oggetto esposto sugli scaffali semivuoti un aspetto lugubre.
« Quello, mio caro, è un acchiappasogni » l’uomo si strofinò le mani come per scaldarle, ma era luglio e l’afa imperava sovrana.
Rodney concentrò nuovamente la sua attenzione sull’oggetto appeso alla mensola più alta. Era un intreccio di vimini grande quanto un piattino, al cui centro spiccava la riproduzione perfetta di un teschio umano puntellato da piccoli paletti di legno. Alle estremità della ragnatela disegnata dalle corde pendevano pigramente le piume nere di un uccello che non seppe identificare. Troppo minute per un corvo, troppo scure per un passero comune.
« È un raro lascito degli indigeni che occupavano queste terre molti anni or sono » continuò il rigattiere, « Serve a...scacciare i brutti sogni. »
Sorrise mostrando una dentatura marcia, la cui tinta giallastra ben si abbinava alla carnagione poco salubre del suo proprietario. Quando l’uomo fece un passo nella sua direzione, Rodney fu assalito dagli effluvi della lavanda che ne impregnava gli abiti rossi e sgualciti. Fece per arretrare, ma sentì alle sue spalle la presenza di uno scaffale poco stabile.
« Lo prendo » asserì, sorpreso dall’impellenza della propria voce.
« Molto bene » il rigattiere annuì e accompagnò col piede uno sgabello fin sotto la mensola.
Lo stridio delle gambe di legno che raschiavano sul pavimento fece scendere un brivido gelido lungo la schiena di Rodney. Osservò l’omuncolo arrampicarsi, afferrare l’acchiappasogni e dargli una spolverata sommaria con la manica della sua veste orientale. Prima di scendere si voltò a guardarlo negli occhi. Aveva assunto un’espressione severa in cui Rodney intravide l’ombra della paura.
« Ricorda, giovane signore: ogni notte di luna piena devi portarlo in un luogo isolato e lasciarlo lì fino all’alba. »
In un primo momento fu stupito da quell’affermazione, poi si concesse un sorriso distensivo. Vedendo però che l’altro restava serio, Rodney aggrottò la fronte e si chiese il perché di una raccomandazione tanto strana. Fu tentato dal rinunciare all’acquisto, ma un profondo senso del dovere gli impose di tener fede alla decisione presa poc’anzi. Si rese anche conto di non aver domandato il prezzo e sentì che era troppo tardi per rimediare.
« D’accordo » acconsentì, ancora dubbioso.
Estrasse il portafoglio, prese il suo nuovo gingillo esotico e decise che ne aveva avuto abbastanza di quel luogo, della sua aria stantia. Si dileguò subito dopo aver pagato, stupito per la cifra assai modesta.
Quando fu in strada, libero dalla morsa asfissiante della bottega, si voltò a guardare indietro.
Il rigattiere era in piedi sull’uscio, con le mani dietro la schiena ricurva.
« Ricorda! »
L’eco di quel monito lo accompagnò fino a casa.
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Per tre settimane Rodney dormì sonni sereni.
Aveva appeso l’acchiappasogni alla finestra che dava sul retro del casolare, noncurante delle timide proteste di sua zia. Era una dolce e pingue signora in età, zitella da sempre, contraria a certe stravaganze del nipote aspirante scrittore. Gli affittava la stanza degli ospiti in cambio di una cifra modesta e di qualche aiuto nelle faccende di casa.
A Rodney quell’alloggio piaceva soprattutto per la distanza dalla claustrofobica vita di città: poteva ammirare ogni mattina il risveglio della natura e passeggiare a lungo nel bosco che sorgeva lì nei pressi.
Di quando in quando la leggera brezza serale faceva dondolare l’acchiappasogni, producendo un piacevole fruscio. Quel suono lo cullava in un mondo onirico sicuro e privo di terrori a cui si abbandonava volentieri.
Sognò un amore estivo intenso e spensierato, una vita da pascià sulle coste di un Paese equatoriale, un prestigioso premio per il suo ennesimo romanzo di successo. Ogni notte aveva qualche avventura da vivere, sospeso tra realtà e fantasia, sempre sicuro però di non destarsi turbato. Passarono i giorni e la luna descrisse il suo arco mostrandosi sempre più sottile, finché non scomparve quasi del tutto dal cielo notturno.
Rodney si tratteneva fino a tardi per osservarla dal suo scrittoio, con la penna d’oca in mano e un bicchiere di bourbon nell’altra. Gli risuonava talvolta in mente come un eco lontano la voce stridula del rigattiere, ma guardando il suo recente acquisto continuava a non spiegarsi il perché di tanta primordiale preoccupazione. Cionondimeno era risoluto a dare ascolto alle parole dell’uomo.
Giunse la notte di luna piena, che Rodney aveva segnato sul calendario con un gessetto rosso. Fin dal tramonto il cielo si coprì di nuvole scure su cui i raggi del sole disegnarono astratti disegni cremisi e vermiglio. Persino il bosco, in quella cupa atmosfera di fine estate, pareva un luogo diverso. Più buio, crudele, covo di pericoli innominabili.
Al calar delle tenebre l’aria si fece greve e un forte vento da nord scosse le fronde degli alberi con sferzate violente. Anziché spazzar via le nubi, sembrò accumularne una gran quantità lungo tutto l’orizzonte.
Le prime gocce di pioggia costrinsero la zia a ritirare il bucato in fretta e furia, mentre Rodney barricava ogni ingresso del casolare. Quando fu il momento di chiudere la finestra della propria camera, sfiorò con le dita l’acchiappasogni e decise che le paturnie di un vecchio superstizioso non valevano affatto il rischio di correre all’aperto in condizioni simili. Sigillò le imposte e scese dabbasso per fare altrettanto con quelle della sala principale.
Il temporale fu tremendo e implacabile. Una vera tempesta di tuoni, fulmini e interminabili scrosci d’acqua furibondi. Il lume delle candele accese al tavolo della cena tremolava come atterrito, al pari della pavida zia. Rodney stesso tremava, ma per il gelo che era calato su di loro insieme con il maltempo.
Si ritirò ben presto addicendo la scusa di voler scrivere due righe, sebbene in realtà bramasse il calore ed il rifugio delle coperte. Vi si infilò subito dopo una rapida abluzione serale, ma il frastuono del nubifragio gli impedì a lungo di prendere sonno.
Costretto così alla veglia si ritrovò a fissare il soffitto, cercando invano di quietarsi.
Era ormai passata la mezzanotte quando lo colse infine l’abbraccio di Morfeo.
Si ritrovò al pianterreno di una casa di campagna non dissimile da quella in cui abitava. Un buio fitto lo avvolgeva da ogni parte, rivelando solo scorci dell’ambiente circostante. Vide una sedia vuota al centro di un salone ampio e impolverato. Alle sue spalle si apriva il varco verso un’altra stanza che non riusciva a distinguere. La porta era divelta, i cardini spezzati. Davanti a sé aveva una scala dai gradini marci protesa verso un pianerottolo sghembo.
Provò a urlare per chiedere aiuto, ma dalle sue labbra non uscì che un roco lamento.
Gli rispose uno scricchiolio proveniente dal piano di sopra, seguito dal raspare strisciante di un grosso animale. L’istinto gli disse di voltarsi e correre lontano. Le gambe però non volevano obbedire, come inchiodate sulle assi di quel pavimento ammuffito.
Sentì allora un respiro profondo nelle tenebre, un ringhio. Odore di zolfo e carne marcita.
Sgranò gli occhi, incapace di reagire.
Oramai lo sentiva chiaramente: non era solo, una presenza disumana si faceva strada verso di lui. Incombeva un pericolo atroce, affamato, invisibile.
Rodney pregò, invocando la pietà di un dio misericordioso e sordo, ma era troppo tardi.
Lanciò un grido nelle tenebre della sua stanza, rizzandosi a sedere sul giaciglio divenuto d’un tratto scomodo e nemico. Stringeva a sé le coperte come un bambino bisognoso di protezione. Gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte e la maglia da notte si era incollata alla sua schiena fradicia. Ancora ansante, cercò di riprendere fiato.
Fuori la tempesta non accennava a placarsi: un boato lontano fece tremare l’intero edificio e Rodney strinse a sé le ginocchia in posizione difensiva. Il cuore gli martellava con violenza nel petto. Sentì un fruscio familiare provenire dalla finestra, che divenne come un respiro mentre si trascinava fino al pavimento. Un forte odore di bile e putrefazione lo avvolse.
Si rese conto di non essere più solo, là dentro: qualcosa ringhiava nel buio.
Qualcosa che lo aveva seguito dall’incubo.